Cinema Scream 4: Re-boot-tiamolo.

Scream 4: Re-boot-tiamolo.

«Naaah, il genere horror è stato solo danneggiato dai sequel». C’era forse un che di profetico nelle parole di Randy, quando nel secondo Scream sbotta in questo modo durante una lezione di cinema.

Dopo undici anni dall’ultimo capitolo che avrebbe dovuto mettere la parola fine agli omicidi di Woodsboro, Wes Craven torna a mettere mano a una delle saghe del cinema horror-slasher più amate. Scre4m, quarto capitolo della serie, primo di una ipotetica triologia del nuovo millennio, delude però le aspettative.

La trama Sidney Prescott ha la bella idea di includere Woodsboro quale ultima tappa del tour promozionale del suo libro “Out of Darkness”, basato sul suo passato travagliato. Ritrova qui i vecchi amici di sempre, Linus, che nel frattempo è diventato sceriffo e sua moglie Gale, che dismessi i panni di giornalista d’assalto, si è data alla scrittura ed è in piena crisi creativa. E’ l’anniversario degli omicidi che hanno reso celebre la cittadina, il liceo locale abbonda di carne fresca. Quanto ci vorrà prima che Ghostface torni ad uccidere?

Autocitazionismo, metacinema, il film nel film erano tutti espedienti che avevano fatto da suggestivo corollario ai precedenti episodi della serie, ma più si inanellavano i nuovi film della saga, più queste componenti iniziavano a prendere il sopravvento sulla trama, fagocitandola, consumandola, fino ad arrivare a questo nuovo capitolo. Qui, la struttura del film, già debole, viene infarcita con insistenza, gonfiata con gli steroidi delle auto-citazioni, degli ammiccamenti, degli omaggi, di scene riproposte.

Non si sa bene quanto di quello che vediamo sia riconducibile al voluto citazionismo e quanto l’alibi del citazionismo sia piuttosto il tappeto persiano sotto cui spazzare la povertà di idee nuove. Sarà per il pedissequo riproporsi di scene tutte uguali, fatto sta che per l’intero film si è preda di una forte sensazione di déjà vu: la biondina che gioca con il coltello mentre è al telefono con il maniaco, l'(ex) fidanzato che passa di nascosto dalla finestra per andare a trovare la propria bella, la congrega di nerd del cinema di genere che si ritrova a discutere di nuove regole dei film horror, la presentazione del libro, la maratona dei film della serie Stab (ancora Heater Graham nel ruolo che fu di Drew Barrymore) di fronte a una platea delirante di maschere e popcorn lanciati in aria, la vittima che striscia verso la salvezza, schiacciata dalla saracinesca del garage, porte su porte violentemente chiuse sul braccio armato e guizzante del serial killer e centinaia di telefoni, telefonini e palmari che squillano.

Sembra di assistere a un frullato dei precedenti film, masticati, mal digeriti e riproposti a pezzettoni senza un motivo guida che crei una struttura in grado di portare lo spettatore dal punto A al punto B. La trama si perde invece in vicoli e viette, rivelando che in fondo il film non ha nulla di nuovo da dire, se non (ancora) il gioco del meta-cinema, del film nel film pompato a livello esponenziale. Lo stesso difetto del terzo film della prima triologia, vale a dire una sceneggiatura scritta male, soffocata dalle citazioni e dai giochi con lo spettatore, dalla storia nella storia, qui torna prepotente, aumentando la sua caratura, fin dal suggestivo incipit del film, che strappa – è vero – più di un sorriso, ma che è anche indice rivelatore di quello che sarà la pellicola nel suo prosieguo: una fotocopia un po’ cialtronesca e caciarona di se stessa, un girare intorno che non porta, in definitiva, da nessuna parte.

Le nuove regole – Sono anni che Craven ci ripete che “questa volta è diverso”, che “questa volta le regole del gioco cambiano”, che ci sono “nuove regole” rispetto al film precedente. Una volta perché, attenzione, “questo è un sequel”! (Scream 2), una volta perché “questo è il capitolo finale di una triologia”! (Screm 3), una volta perché “siamo in un remake”! (Scream 4). Ma non basta più lo stravolgimento fine a se stesso di regole classiche (ora anche le vergini possono morire!): cambiare le regole, questa volta, doveva essere il pretesto per giustificare un nuovo reboot, una nuova triologia, dove il ricambio generazionale fosse finalizzato a raccontare storie nuove. E invece il film è ingenuo e sornione, non pone alcun binario narrativo neanche per giustificare se stesso, figuriamoci se possa fare da scheletro ai film successivi (Scream 5 e Scream 6 sono già in programma, ma urge correre ai ripari e ideare una mitologia tutta nuova, nodi narrativi di maggior spessore, per evitare le sorti di saghe come Nightmare che proprio attorno al quarto, quinto capitolo hanno avuto il loro picco più basso).

Il pubblico da conquistare è chiaramente quello di una nuova generazione. E nella frenesia di reinventare un linguaggio moderno con il quale raccontare vecchi orrori, l’upgrade passa per un’estetica da teen-movie, per social network e nuove tecnologie (come la webcam con la quale il serial killer filma i suoi omicidi). Tutto nuovo, tutto bello. Ma in fondo, il brutto biglietto da visita con il quale Craven si presenta alle nuove generazioni mostra solo coriandoli di ragazze procaci, per lo più provocanti biondine che non fanno altro che chattare, rispondere al telefono, mandare messaggini. Si tratta – parafrasando la stessa Sidney nel primo film della serie – di «tettone che non sanno nemmeno recitare e che salgono sempre su per le scale invece di aprire la porta e scappare, è un insulto!». Le loro morti, come quelle della tradizionale carne da macello (come Anthony Anderson direttamente trapiantato da Scary Movie 3 e 4) sono per lo più grottesche e forzate, non si sa mai se Craven faccia sul serio o stia solo cercando di gettare sulla storia quella copertina di ironia, rispolverata dai suoi precedenti film, che francamente oggi inizia a essere troppo corta e troppo leggera. Giocare con i vecchi cliché del genere non fa più così ridere, in fondo, e men che meno se il film sa benissimo e finge – in modo troppo smaccato e pretenzioso – di non vedere il suo essere stanca caricatura dei capitoli precedenti della saga, occhietto strizzato al pubblico, asettico collage di momenti e situazioni già viste.

I personaggi – I vecchi protagonisti si aggirano per il film come stanchi dinosauri senza meta. Una Sidney Prescott eterna vittima, uguale a se stessa, personaggio quasi di contorno nel corso del film per poi tornare improvvisamente protagonista ingiustificata nelle scene finali, una Gale Weathers nevrotica, che tenta di integrarsi con la nuova generazione in modo un po’ patetico, offrendosi di indagare sugli omicidi assieme a dei ragazzini (assistere al processo di incartapecorimento della faccia della Cox non è uno spettacolo per cui pagare volentieri 9 euro e 20 di biglietto), un Dewey Riley/Topo Gigio inutile, ostinatamente monoespressivo (ma questo era un problema anche dei film precedenti), che non esce dal ruolo dell’agente (ora sceriffo) impacciato, il cui unico scopo nel film è correre da una scena del crimine a un’altra, con la fronte arricciata in una espressione perenne da cane bastonato. Neanche la dicotomia tra vecchia e nuova guardia, per altro, funziona a dovere: attorno al terzetto di superstiti dei capitoli precedenti della saga, ronzano una pletora di ragazzi, ma soprattutto ragazzine che avrebbero il compito di raccogliere il testimone, ma che di fatto sono poco più che comparse che inciampano per sbaglio nella scena e interpretano personaggi rifiniti con l’accetta, piatti e intercambiabili, tanto che non frega granché chi alla fine vivrà o chi sarà il prossimo a essere affettato. Nessuno di loro è leader, nessuno di loro ha carisma, nessuno alla fine rimane davvero impresso nello spettatore e non si vede chi di loro (e in che modo) possa costituire la linfa per dare nuova vita ai prossimi capitoli della nuova saga. Non va meglio per i personaggi collaterali, una zia di Sidney surreale (Mary McDonnell) della quale ci si dimentica presto, un vicesceriffo-clone di Uma Thurman (Marley Shelton) che appare e scompare un paio di volte nel film e piuttosto a sproposito.

Nonostante Kevin Williamson sia tornato alla sceneggiatura, dopo la brutta prova di Ehren Kruger nel precedente capitolo, il ritmo di Scream 4 è lento e incostante. Non c’è la minima tensione, dimenticatevi sequenze efficaci come la telefonata convulsa di Drew Barrymore o Sidney che cerca lentamente di scivolare fuori dal finestrino dell’auto, mentre il killer è svenuto al posto di guida. Scream 4 – ed è forse questo lo sgarbo più grave che possa essere fatto ai fan della serie – non fa neanche paura. Che per un film horror, direi che è dire tutto.

Evitando ovviamente qualsiasi spoiler, valga la pena spendere anche due parole sull’epilogo del film. I film horror più efficaci, quelli che rimangono conficcati nel cervello come una scheggia di metallo, sono quelli che lasciano in un solo istante, nello spettatore, un senso di angoscia, un disagio quasi fisico. Il finale deve essere un ultimo graffio in pieno viso, come l’immagine confusa del ragazzo di spalle, contro il muro, nelle ultime scene di The Blair Witch Project, per intenderci (un fotogramma che vale quasi l’intero film). L’epilogo di Scream 4 è inutilmente lungo, barocco, con un cambio di location che spezza il climax finale in modo sgradevole. All’ennesima aggressione a Sidney viene voglia di alzarsi in piedi e gridare: “E dai, ammazzala, cazzo e facciamola finita!”. Infine, quanto al preteso movente del serial killer basti dire che, per la foga di inventare un finale sorprendente (?), non è stato affatto curato e coltivato nel corso della storia, risultando così alla fine pretestuoso e forzato.

Forse la formula citazionista, vincente nei precedenti episodi, ha fatto ormai il suo tempo, dopotutto sono passati quindici anni dal primo Scream e non sono pochi. Forse Craven ha detto tutto quello che c’era da dire sul suo meta-cinema e prima di scoprirsi a raschiare il fondo del barile, prima di rimanere vittima di quel loop creativo che ormai ha fatto prigioniero il buon Romero, sarà bene che si allontani quanto più in fretta possibile da questa nuova saga, finché è in tempo, appaltandola magari a qualche esordiente di fiducia.

Qual è il mio film horror preferito? Ahimé, decisamente non questo.

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SCREAM 4

Regia: Wes Craven
Scritto da:
Kevin Williamson;
Prodotto da:
Dimension Films (United States) e Entertainment Film Distributors (United Kingdom).
Durata:
1 ora e 43 minuti.
Anno:
2011.
Cast:
Neve Campbell (Sidney Prescott), Courteney Cox (Gale Weathers), David Arquette (Dewey Riley), Emma Roberts (Jill Roberts), Hayden Panettierre (Kirby Reed), Mary McDonnell (Aunt Kate), Rory Culkin (Charlie), Nico Tortorella (Trevor Sheldon), Marley Shelton (Deputy Hicks), Alison Brie (Rebecca), Anthony Anderson (Deputy Perkins) e Adam Brody (Deputy Hoss).

Consulta la nostra recensione doppia e dicci da che parte ti schieri!

About Stefano Passeri

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Comments

Posted On
apr 24, 2011
Posted By
Valentina Colli

Mi trovo totalmente d’accordo con quanto scritto in questa recensione.
Di questo Scream 4 si salva l’incipit. Un’apertura divertente che fa sperare, senza altre aspettative, in un ritmo mantenuto al pari livello ma che, invece (purtroppo per noi), si rivela essere un film decisamente noioso e totalmente incapace di “far accapponare la pelle”.

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