Intervista film Somos lo Que Hay: la Parola al Regista

Somos lo Que Hay: la Parola al Regista

Adoro l’horror e adoro Carpenter e Argento si dall’adolescenza, quindi mi sarebbe stato impossibile non dare un certo taglio di genere al mio lavoro“.

E’ una delle pellicole più interessanti e originali della stagione, e nell’attesa che qualcosa si muova anche per quanto riguarda la distribuzione italiana, ecco per voi quattro chiacchiere con Jorge Grau, regista del messicano Somos lo Que Hay . Tnx to Shocktillyoudrop.com.

Come sei arrivato a scrivere una sceneggiatura in cui una famiglia messicana è obbligata a nutrirsi di carne umana per sopravvivere?

Il mio scopo principale era quello di mettere in scena la disintegrazione di una famiglia come metafora della disintegrazione di un’intera società, e il cannibalismo si è rivelato il mezzo più funzionale a questo tipo di lavoro. E’ una metafora molto diretta del concetto di cacciatore e preda. Il predatore di un essere umano può essere solo un altro essere umano, quindi ho pensato che la combinazione di questi elementi fosse ideale per il progetto che avevo in mente.

L’hai intesa come una pellicola horror? O una pellicola drammatica con elementi di genere?

Adoro l’horror e adoro Carpenter e Argento si dall’adolescenza, quindi mi sarebbe stato impossibile non dare un certo taglio di genere al mio lavoro.

L’assunto del tuo film ha radici solidamente reali, non c’è alcuna interferenza soprannaturale in quello che racconti. Hai preso spunto da qualche fatto di cronaca realmente accaduto?

Volendo guardarla da un punto di vista pessimista, ciò che racconto è quanto quotidianamente si vede in Messico: corruzione, disoccupazione, terrore per quello che potrà essere il futuro, disintegrazione del concetto di famiglia, interi settori della società completamente dimenticati dall’autorità. Più prosaicamente, nelle miei ricerche mi sono imbattuto in parecchi casi di cannibalismo, un paio di celebri in territorio messicano, moltissimi negli USA, è quello celeberrimo in Austria del cannibale che trovò la propria vittima mettendo un annuncio sul giornale.

Sostanzialmente la famiglia protagonista è cannibale in quanto adepta a un misterioso culto che impone il cibarsi esclusivamente di carne umana, eppure i perché di quella ritualità restano un mistero. E’ stato un scelta cosciente?

Il non rispondere a quel tipo di domande mi ha permesso di farle porre a uno dei protagonisti Alfredo, e questa crisi di identità è uno dei principali motori della vicenda. Alfredo si trova obbligato a dover fare qualcosa di estremo senza minimamente capirne il motivo.

Quant’è stato importante proporre nel cast protagonista nomi e volti nuovi del panorama cinematografico messicano?

Uno delle ferree regole che mi sono imposto in fase di pre-produzione era quella di trovare attori la cui età corrispondesse esattamente a quella dei personaggi che sarebbero andati a interpretare, e nel mio ambiente cinematografico sono molti pochi i diciottennni già celebri: l’unica attrice che gode di un certo rilievo è Carmen Beato, che veste i panni della madre Patricia, volto noto per i suoi ruoli in diverse serie televisive nazionali.

Come ti sei rapportato al comparto gore della pellicola?

Quello che ho fatto trovandomi a girare le scene più forti, è stato mettermi nei panni dello spettatore e immaginare quello che avrei voluto vedere in quella specifica situazione, e in quale scena del film mi sarebbe piaciuto veder concentrata la violenza.

 

About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.

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