Fuori fisicità ed alti tassi ematici, dentro il mare magnum della mente umana, l’orrore come risultato di un inevitabile e feroce travaglio intimo appena estroverso che implode nella psiche del protagonista.
Non è con il più augurabile degli stati d’animo che Jess (Melissa George), tormentata ragazza madre, raggiunge l’amico Greg (Michael Dorman) sul suo yacht per abbandonarsi ad un po’ di relax in mezzo all’Oceano Pacifico con un ristretto gruppo di amici.
A complicare drammaticamente le cose interviene un’imprevedibile tempesta che fa letteralmente a pezzi l’imbarcazione, costringendo il gruppo a trasferirsi a bordo di un’enorme e misteriosa nave che trasmette sin dal primo momento una bizzarra sensazione di familiarità alla sempre più sconvolta Jess. Un’ancora inspiegato sconvolgimento che troverà ben presto ragion d’essere: i compagni di viaggio della ragazza iniziano a morire uno dopo l’altro, in quello che si rivelerà essere un infinito loop temporale strettamente legato ai recenti episodi della vita dell’inconsapevole Jess.
Il Christopher Smith che non ti aspetti arriva zitto zitto dalla porta di servizio, da quella distribuzione straight-to-dvd che spesso e volentieri, quando il soggetto in questione è un regista già piuttosto affermato, fa spesso suonare qualche campanello d’allarme di troppo, con echi di precoci quanto malaugurate fasi calanti della carriera, scarso appeal nelle Stanze dei Bottoni e morti commerciali profilate lungo la linea dell’orizzonte. Condizione ancora più sinistra dal momento che nelle precedenti esperienze il regista inglese aveva messo il suo talento al servizio di progetti certo non azzardati, che fosse l’esordio Creep o l’allegro e facilino Splatter-O-Rama di Severance, lasciandosi alle spalle un’impronta tanto solida quanto non particolarmente personale né peculiare. Una volta legittimamente illusi che potesse continuare su questa falsariga e allarmati dalla pericolosa soluzione home-video, Triangle esordisce e colpisce in piena fronte. Fuori fisicità ed alti tassi ematici, dentro il mare magnum della mente umana, l’orrore come risultato di un inevitabile e feroce travaglio intimo appena estroverso che implode nella psiche del protagonista frantumandola in mille pezzi riflettenti una realtà ogni volta diversa ed uguale a se stessa; un viaggio che, appoggiandosi a tematiche classiche per il genere – il viaggio, l’imprevisto come detonatore dell’incubo, l’isolamento, l’esplosione dell’orrore – illude di aver preso la direzione certa e confortevole dell’horror-thriller più convenzionale per poi trascinare di forza lo spettatore all’interno delle personalissime circonvoluzioni della mente della protagonista Jess, interpretata della brava e decisamente maturata Melissa George (Turistas, 30 Days of Night), mattatrice unica di tutta la vicenda.
Gli angusti, indefiniti ed indistinguibili corridoi pallidamente illuminati nel ventre dell’enorme nave dispersa in un blu profondo ed infinito collegano stanze e location dove tutto può succedere e tutto succede, spazi compresi tra quattro mura che assomigliano sempre di più alle serie sterminate di neuroni sconnessi e sinapsi impazzite della protagonista. Ma se da una parte si distrugge, contemporaneamente da un’altra si riannodano fili, mettendo uno dietro l’altro i pezzi di un puzzle che forse avrà un inizio ma certamente non una fine, e lasciando fluire con naturalezza tutto l’imponente bagaglio emotivo della vicenda. Perché la pellicola è sì un abile gioco d’incastri – ulteriormente impreziosita da una regia e un montaggio assolutamente all’altezza – ma rifugge il rischio di specchiarsi nella scintillante perfezione del presunto meccanismo perfetto, preferendo immergersi fino alla punta dei capelli nel fango emotivo di sangue e lacrime che non può non sgorgare dal momento esatto in cui al delitto segue l’inevitabile castigo. Non a caso il regista, gettando più di una volta un fugace sguardo sul nome dell’imbarcazione – Eolus – , tradisce intenzionalmente quello che deve essere stata una delle principali ispirazioni da cui si è mosso nella stesura dello script della pellicola, il mito di Sisifo dalla mitologia greca in particolare. Inaspettata e per questo ancora più sorprendente, Triangle potrebbe aver determinato una sterzata piuttosto decisa per quanto riguarda la cifra stilistica di Christopher Smith, scopertosi o forse semplicemente rivelatosi molto più valido in fase di scrittura di quanto un pur divertente Severance di turno lasciasse supporre.
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About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.