Intervista libro Intervista Con Danilo Arona

Intervista Con Danilo Arona

Arona torna in edicola con Bad Visions. Noi di Horror.it gli abbiamo rivolto alcune domande.

Giornalista, scrittore, musicista, critico cinematografico e letterario, nonché ricercatore sul campo di “storie ai confini della realtà”: Danilo Arona è tutto questo e non solo. Raramente, quando si delinea il profilo biografico di un autore, tratteggiare le diverse arie di interesse risponde esclusivamente a esigenze di approfondimento.

Nel tuo caso questa operazione sembra avere non solo una funzione esplicativa, ma appare addirittura illuminante: musica, cinema e inchiesta irrompono nella tua narrativa come personaggi in carne e ossa, talvolta rivendicando e aggiudicandosi ruoli da protagonisti. Si può parlare di commistione di codici tra loro complementari, fin quasi ad arrivare, in alcuni casi, ad un’identificazione tra linguaggi diversi?

Guarda, non è che a tavolino ci penso tanto. Mi metto lì, alla scrivania, e comincio a picchiare sui tasti. Poi, sicuro, so bene che cosa sono codici, linguaggi, semantemi e via pontificando. Così può capitare, in fase di riscrittura e revisione, di strutturare l’opera secondo piani, non necessariamente paralleli, che s’intersecano. L’inchiesta, vera o falsa, che si confonde con la fiction di turno è un buon esempio. In Blue Siren, il secondo romanzo del dittico Bad Visions, il mio delirio narrativo è supportato da due brani di giornalismo autentico, uno sull’Ayahuasca a pagina 296 e l’altro sugli antropologi scomparsi in Amazzonia a pagina 361. Siccome sono già stati letti, soprattutto il secondo, da un sacco di persone (perché i fatti sono realmente accaduti…), ecco che l’inchiesta irrompe nella narrativa fantastica, regalandole una bizzarra credibilità. Da sempre sono convinto (e i grandi libri come L’esorcista di Blatty mi danno ragione…) che la verosimiglianza dovrebbe essere l’aspetto vincente del gotico moderno, e il fatto che il lettore possa entrare in crisi percettiva grazie a un supporto giornalistico che rende vero ciò che vero non è, a me sembra un bel jolly da giocare. Confondere le idee, i linguaggi, i piani temporali e persino i livelli stilistici, credo poi che debba far parte dello sperimentalismo possibile – e doveroso – nel genere horror. Sperimentare mi diverte, trasgredire idem. Un horror pulitino, accomodante, che non ti lascia l’amaro in bocca e più di un dubbio irrisolto, per me è inconcepibile.

Nelle Cronache di Bassavilla sperimenti una forma estrema di critica cinematografica: quasi tutti i titoli dei capitoli richiamano film più o meno conosciuti. Pleonastico sottolineare ancora le suggestioni derivate dal grande schermo, ma la domanda può avere senso (sempre che una risposta esista, e non è affatto scontato) se posta in maniera diversa: dove, se a livello di processo creativo, stilistico o quant’altro, l’influenza del cinema diventa più forte?

Ahimè, temo di darti una risposta banale, e per uno che detesta la banalità non è il massimo… Dove? Ma nel mio caso, sempre e ovunque. Ho cominciato scrivendo pretenziosi libri di critica cinematografica, quindi ho cominciato vedendo un mare di film (qualcosa come uno al giorno di media dall’età di 8-9 anni…), quindi, caro Simone, dentro di me c’è soltanto cinema. E diciamo poco? Non esiste un mio libro che non rigurgiti da ogni suo “poro” (chissà com’è fatto il poro di un libro?…) viscide e consapevoli cascate di cinema, horror e non. Ma è normale… I critici – l’ultimo arrivato è il grande Gianni Canova con Palpebre – si esibiscono, non potendo farne a meno, in opere metalinguistiche, metatestuali, riflessioni in chiave di fiction sul linguaggio comunicativo e i suoi strumenti. Nel mio caso ci sono racconti che s’intitolano Il villaggio dei dannati e Stirpe (laddove la Stirpe è sempre quella di Wolf Rilla…) nonché tutti i capitoli di Cronache di Bassavilla e di Ritorno, che restano gli esempi “scoperti”. Ma poi ci sono esempi meno facili da scoprire e anche più “estremi” (l’esperimento, oltraggioso, che ho compiuto con l’immortale Giro di vite di Henry James, tra gli ultimi, in Blue Siren…), come tutto il romanzo L’estate di Montebuio, dove il “mostro” è una macchina da scrivere e per traslato tutta la macchina editoriale, compresa quella sempre traballante che fa capo alla critica. Il cinema è ovunque nel mio lavoro, mai più forte o meno forte. Se pensi a Pazuzu, sul quale mi sono persino inventato trecento pagine di saggistica… E Pazuzu è soltanto cinema.

In un’intervista rilasciata alcuni mesi fa affermi che “Negli anni Settanta-Ottanta avresti riconosciuto un Carpenter dallo stile e dall’atmosfera senza la necessità di saperlo dai titoli di testa…” Cosa pensi che manchi al cinema di oggi?

Proprio questo. La riconoscibilità immediata di un autore. Carpenter ce l’aveva su moltissimo con gli shooter, così li definiva in un’intervista di molti anni fa riferendosi agli autori che girano in completa assenza di dinamiche d’autore. Cinema impeccabile quanto impersonale. Gli shooter stanno al cinema quanto i musicisti con le basi midi in campo musicale. La gente si beve sempre la stessa solfa, anche se cambia il direttore d’orchestra. Verbinski può definirsi un grande autore horror pur avendo girato il notevole remake di Ringu? No, Verbinski è un ottimo professionista al servizio della macchina produttiva. Non un autore. Gli autori sono altri. Quelli che amo sono ormai vecchi come me, ma li riconosci al volo. Persino Dario Argento, quando sbaglia, è un autore, e per questo, chapeau! In buona sostanza, al cinema (horror e non solo) di oggi manca l’Autore. E io allora continuo ad amare quelli con cui sono cresciuto, Carpenter (appunto), Cronenberg, De Palma, Lynch, Coppola… E a fare il tifo, anche se ogni tanto sbarellano, per Hooper, Craven, Landis, Raimi… Diverso discorso per l’Italia, dove, accanto ai classici, ci sta pure un’agguerrita schiera di filmaker assai interessante. Ma, se proseguo, si rischia di scantonare.

Scorrendo la tua bibliografia è inevitabile interrogarsi sulla tua natura di vero e proprio ramingo, o nomade, dell’editoria: tue opere compaiono nei cataloghi dei maggiori editori del Paese così come in quelli dei meno noti. In passato, Joe R. Lansdale ha dichiarato di pubblicare i suoi lavori maggiormente “sopra le righe” con piccoli editori, così da raggiungere un pubblico mirato. Nel tuo caso, ci sono considerazioni precise dietro a scelte di questo tipo?

Non vorrei deluderti, anche perché l’accostamento, per quanto involontario, con Joe mi suona blasfemo… Io non sono tanto potente da “scegliere”. Rispondo soltanto alle “chiamate”. Se ho quella che ritengo essere una buona idea, la propongo. Non avendo un agente, c’è il rischio d’incontrare qualche ostacolo in più. Ma in genere non capita. Sono l’agente di me stesso e non sono pochi gli editori che lo apprezzano… In ogni caso, per offrire un elemento di valutazione supplementare che va nella direzione espressa da Joe, ho constatato che la pubblicazione in edicola ti mette in comunicazione con una audience maggiore di quella della libreria. Magari rischi di trovare anche qualcuno che ti vuole spaccare la faccia…

Il tuo “concetto di horror italiano” affonda le radici nel territorio, nella cronaca quanto nel folklore e nel vastissimo patrimonio mitologico. Può essere questa la formula per contrastarne l’icona esterofila?

Lo sostengo da anni, non è una novità. Se personalmente trovassi voglia e tempo, potrei tradurre in grandiosi racconti horror le stupende storie di paura che infestano l’Italia dalla Val d’Aosta alla Sicilia. Ho trovato l’anno scorso su una bancarella un clamoroso libercolo della Universale Cappelli, Leggende del Diavolo, a cura di Vittorio di Giacomo, anno di edizione 1957. Ci stanno più di trecento – dico trecento – spunti narrativi, uno più bello dell’altro, provenienti da ogni angolo d’Italia, dalle “animulari” di Trapani alle “Madri” di Benevento, dall’Anima nella Pozzanghera in Toscana al Munaciello di Sorrento… Una delizia e una miniera d’ispirazioni. Eh, sarebbe questa una sporca missione da intraprendere.

Occupiamoci finalmente di Bad Visions, il tuo ultimo libro, uscito nei giorni scorsi per Mondadori nella collana Epix. Il volume comprende due romanzi brevi: La stazione del Dio del Suono, già pubblicato come romanzo nel 2004 per Larcher Editore, e Blue Siren. Vuoi presentarli ai lettori di Horror.it?

Nel 1986 scrissi il mio secondo romanzo, Un brivido sulla Schiena del Drago, il primo volume della “Trilogia del Drago”. Lì, ispirato tanto da Ghost Story di Peter Straub quanto da Solaris di Lem (vedi tu la diversità delle fonti…), misi in piedi la faccenda della “Veglia”, gestita dai vecchiacci del Circolo del Venerdì che se ne vanno in giro per l’Italia con una particolare carta geografica. Con l’ausilio di questa i tipi hanno scoperto che esistono delle “Zone” in cui le favole dell’orrore, se raccontate a voce alta, possono materializzarsi interagendo le une con le altre e con la stessa realtà. E così ci danno dentro a raccontarsi reciprocamente le cose più spaventose (a loro discernimento) giusto per capire la dinamica del fenomeno e perché sono degli autentici ricercatori che hanno la missione di sperimentare. Ma, sin dall’inizio, un fatto non è chiaro: favole o storie autentiche? Perché, pure queste, soprattutto se appartengono al passato, sembrano in grado di ritornare. Sedici anni dopo, galvanizzato dalla ristampa del libro e dal suo buon successo, ne scrissi un sequel in cui i vecchi, ancora più vecchi (e qualche assente per morte sopraggiunta), hanno scoperto una nuova Zona a Piano Orizzontale dei Giovi (la prima era Masone, sul Turchino, che poi persino Fabio Fazio ha consacrato a luogo di una certa qual fama sinistra…) e si riuniscono lì in una nottataccia che non ti dico a raccontarsi le storie più incredibili. Ma non una inventata, perché ormai hanno perso l’inventiva e la fantasia. Ciononostante il “Potere del Drago” crea attorno a loro una rutilante pantomima in cui tutto si confonde e si deframmenta, tra i fantasmi di un incidente ferroviario realmente accaduto nel 1898 e un sanguinoso rave dove i partecipanti passano a miglior vita per colpa dei Cacciatori di Farfalle… Beh, insomma, qui mi fermo. Magari qualcuno vorrà leggere. A onor di cronaca, esiste anche Le tre bocche del Drago, con la terza Veglia che si svolge nel famoso paese di Triora, romanzo collettivo scritto da un pugno di amici (Altieri, Cacciatore, Fassone, Rosati, Guerrini, Nerozzi e Panizza) che può considerarsi un significativo antecedente di Bad Prisma. Per Blue Siren non vorrei spendere tante parole, perché è un esperimento un po’ complicato da raccontare. E, se lo faccio, dovrei scendere in certi particolari, ovvero spiegare in che modo Melissa Parker – una delle versioni del Bad Prisma – riesca ad azzeccarci con Henry James, le stragi del sabato notte, un traffico di droga dall’Amazzonia all’Europa e il notorio Quirino Calderone, uno dei miei personaggi più amati. Diciamo che ho tentato di fare quello che non si deve fare: scrivere il sequel di Giro di vite, portando in luce tutte le meravigliose ambiguità e i punti irrisolti di quel testo-chiave. I Jamesiani italiani hanno posto una taglia sulla mia testa, vivo o morto, però vorrei calmarli, anticipando che al più presto Blue Siren, ovviamente in forma ridotta, diventerà uno spettacolo teatrale dal titolo Il terzo giro di vite. Insomma, non tutto il male – anzi, il Male – vien per nuocere.

C’è un nuovo libro in cantiere al momento? E in tal caso, puoi farci un ultimo regalo, anticipandoci qualcosa?

L’elenco delle mie prossime uscite prevede: Gli uccelli di Alfred Hitchcock – E il cielo si avventò sulla Terra che è ovviamente un trattato di critica cinematografica (ma non solo perché mi soffermo molto sullo straordinario racconto di Daphne Du Maurier da cui Hitch trasse il mitico film), una nuova edizione “integrale” di Palo Mayombe, una mezza dozzina di racconti horror per altrettante antologie, una curatela di un’antologia di fantasmi scritti in buona parte da autori stranieri, e il più volte citato Bad Winds, dove ho riunito tutti i “venti cattivi” della mia produzione (Föhn, Santa Ana, Tufanaltorab, il vento iracheno di Pazuzu, il greco Meltemi e altri ancora). Ma il mio sogno, non lo dico spesso, è di scrivere un romanzo comico, di quelli che ti fanno cadere dal letto quando li leggi. Non strabuzzare gli occhi, è la verità. Succede anche questo dopo avere tentato di dare forma e sostanza al Male in quel di Montebuio…

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