Editoria Il Prato In Fondo Al Mare

Il Prato In Fondo Al Mare

Lunedì 4 marzo 1861.

L’Ercole, battello a vapore della Compagnia Calabro-sicula, scompare misteriosamente al largo della costa sorrentina, in vista del golfo di Napoli.

«Il comandante del “Pompei” scrisse sul libro di bordo che verso le 5 di mattina la burrasca era nel suo pieno. Era uno di quei rovesci di vento conosciuti nel Tirreno meridionale per la loro intensità, specialmente agli inizi di primavera. Poche ore, ma un inferno. Il vento scendeva da nord. Da tramontana girò a maestrale e tutto si oscurò nel giorno nascente.
Fino a qui le testimonianze concordano. I dati rilevati dal “Pompei” figurano anche sul giornale di bordo di una nave straniera che incrociava le stesse acque. Fino a qui si sapeva che il battello a vapore “Ercole” era in navigazione avanti al “Pompei”, diretto a Napoli.
Ma dopo, tutto diventa oscuro.
La mattina del 5 marzo, alle dieci, il tempo era tornato chiaro e il mare si era calmato.
Le navi dirette a Napoli erano tutte in ritardo. Ma ad una ad una entrarono nel golfo, e poi nel porto, attraccando tra il piccolo Molo Angioino e il Piliero.
Tutte tranne una».

A bordo dell’inquieto piroscafo, in divisa di colonnello dell’Armata meridionale, si trova anche Ippolito Nievo, vice-intendente di finanza dell’esercito garibaldino. L’autore de Le Confessioni di un italiano, che trasporta con sé documenti relativi all’amministrazione dei Mille, scompare nel nulla insieme ai 18 membri d’equipaggio e agli altri 40/60 (il numero esatto non è noto) passeggeri.
Quali furono le ragioni del disastro? Perché nessun relitto fu rinvenuto? Il mistero, più oscuro degli abissi marini in cui riposa la carcassa dell’Ercole, ha avvolto questo triste capitolo di storia patria per oltre un secolo. Fino a quando un pronipote di Ippolito, Stanislao, si è messo sulle tracce del leggendario vascello-fantasma.

“Iniziai da solo”, scrive Nievo. “Fu una strada lunga e lenta, attraverso città, archivi, sotterranei, biblioteche, ministeri e case abitate da menti inquiete e sensibili, tutti quelli che potevano dire qualcosa su quel vecchio naufragio”.
Fonti dubbie, informazioni confuse o addirittura contraddittorie. Da Torino e Genova fino a Palermo e Marsala, la ricerca procede negli anni. Finché lentamente, attraverso i metodi d’indagine più disparati – dagli scaffali di archivi e emeroteche agli strumenti più moderni di ricerca scientifica, finanche alla parapsicologia – i tasselli del quadro cominciano ad emergere.

È stupefacente quanti codici di scrittura convergano ne Il prato in fondo al mare, vincitore nel 1975 del Premio Campiello. Sfruttare le potenzialità dei generi per poi scavalcarli è prerogativa dei grandi, degli artisti autentici, ed è esattamente quello che Nievo fa nella sua magistrale, impeccabile inchiesta-narrazione. Per dirla con Garboli, autore di un’acuta introduzione al volume mondadoriano del ’77, la chiave di lettura più esatta per questo “racconto-labirinto” rimane quella offerta da Pier Paolo Pasolini: “una pastiche in cui convergono molti modi possibili di fare il romanzo, e in cui il romanzo è anche il modo di fare il romanzo”.

«È un allarme fisiologico profondo che inizia con la vertigine, addenta l’equilibrio mentale, irrompe nello stomaco e blocca il respiro. L’organismo chiude il suo contatto biologico con tutto ciò che può. In alcuni animali inferiori si arriva alla sospensione della vita. Nell’uomo si bloccano i movimenti, che potrebbero aumentare la superficie personale con maggiori probabilità di esser coinvolti nel disastro. Il corpo si raggomitola, cerca di passare inosservato. È un gioco lugubre, a nascondino con la morte».

Il prato in fondo al mare segna la prima apparizione di Nievo nel panorama della letteratura italiana. Un ingresso che ha tutti i connotati di un’irruzione, perché, come sottolinea ancora Garboli: “… Stanislao è un outsider, un talento imprevisto, insofferente di ogni letteratura notarile e di ogni morto accademismo vigente”.

Difficile non tornare con la mente a certi mostri sacri del primo ventennio del novecento, cronisti dalla penna magica, inimitabili mistificatori capaci di tradurre in narrazioni avvincenti i loro reportage. Il paragone non è azzardato, né dettato unicamente dalle analogie stilistiche. Ospitati nell’allora acclamatissima “terza pagina” (inaugurata da Bergamini nel 1901) guadagnarono da parte della critica, tra gli altri, l’appellativo di “scrittori di viaggio”. E scrittore di viaggio era certamente Nievo, che nel 1953, dopo aver visto l’Europa e raggiunto il Circolo Polare, partì con tre compagni di studi alla volta dell’Africa. Poi Australia, Giappone, Nuova Guinea, Stati Uniti, Cina…

“50 anni intorno al mondo”, scrive nell’introduzione al volume Storie di un viaggiatore, curato da Mariarosa Santiloni “mettendo il naso in 90 paesi raccontati in 700 articoli e fotografati per enciclopedie e riviste. Realizzando nel frattempo alcuni film e servizi televisivi, oltre alla scrittura di romanzi, saggi e poesie… Così ho corso i continenti, come una fiaba teatrale dai mille risvolti. È stato bellissimo”.

Ripensando alla citazione d’apertura del romanzo (Signore, concedimi un miracolo, lo cerchiamo già dal primo capitolo) tratta dal Bebuquin dello scrittore tedesco Carl Einstein, viene da rispondere che sì, la richiesta è stata infine esaudita.
Il miracolo è arrivato.
E si chiamava Stanislao Nievo.

Il Prato In Fondo Al Mare

di Stanislao Nievo
Edizioni in lingua italiana:
Mondadori (1974);
Oscar Mondadori (1977)
Newton Compton (1995).

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