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The Box: Parla Richard Kelly

“Mi ritrovo sempre a concedere loro una qualche possibilità di salvezza o redenzione, forse per non negare del tutto l’esistenza di una pure flebile speranza in ogni situazione”.

Dalle colonne di Bloody Disgusting, Richard Kelly getta un po’ di necessaria luce sul pluririmandato The Box, adattamento dal racconto Button, Button di Richard Matheson in uscita nelle sale a stelle e strisce il prossimo 6 novembre, a fine dicembre in quelle italiche.

Abbiamo passato otto mesi a lavorare sugli effetti di CG” esordisce Kelly “La pellicola era sostanzialmente pronta poco prima dello scorso Natale, e alla Warner Bros i programmi prevedevano di distribuire la pellicola a partire dal mese di marzo, ma alla fine tutti si sono convinti che fosse più oculato aspettare quantomeno l’autunno, e dedicare tutto il tempo necessario alla realizzazione degli effetti speciali. Il grosso del lavoro è stato fatto sul volto di Frank Langella – suo il ruolo di Arlington Stewart, il misterioso straniero che dona alla coppia Cameron Diaz/James Mardsen la scatola delle meraviglie -: sul suo volto è stato fatto un lavoro enorme già in fase di ripresa, a cui è stata aggiunta una mole di lavoro digitale, qualcosa come 350 distinti effetti in questa lunghissima fase di post-produzione. Ma alla fine il risultato è eccezionale, ed il lavoro non ha riguardato solo il volto di Frank Langella: in questa fase abbiamo anche ricreato l’effetto neve e parecchie auto d’epoca“. Appare evidente sin da subito quindi una particolare attenzione nei confronti della minacciosa figura di Arlington Stewart, quasi a suggerire indirettamente come il vero motore occulto della pellicola possa rivelarsi proprio questo losco figuro e la sua misteriosa scatola.

Kelly torna poi su quello che, se venisse confermato anche in The Box, potrebbe diventare un suo inconfondibile marchio di fabbrica: quello di uccidere i protagonisti delle sue narrazioni:” L’idea di avere il totale controllo sulle creature con cui mi ritrovo ad avere a che fare mi ha sempre affascinato parecchio, e difficilmente resisto alla tentazione di ucciderne buona parte, soprattutto quando si parla del protagonista! Sono uno di quei registi che dopotutto ama i personaggi che si ritrova a dover uccidere, oltretutto dopo averli infilati in situazione da cui non potrebbe uscirne se non morti… Mi ritrovo sempre a concedere loro una qualche possibilità di salvezza o redenzione, forse per non negare del tutto l’esistenza di una pure flebile speranza in ogni situazione. O per fare in modo che il film non risulti completamente depressivo! Dopotutto, nonostante la sua morte, lo stesso Donnie Darko da l’impressione di essere riuscito a conquistare qualcosa, di aver portato a compimento una qualche progettualità prefissata, di essersi sacrificato per un bene superiore. In The Box ci si rende immediatamente conto che l’esperienza di Arthur e Norma con la scatola è in un qualche modo simile: essa comporta conseguenze su scala planetaria e quindi è probabile che l’ultima delle loro decisioni sarà la più importante, quella che porterà con sè i benefici o le sventure maggiori, che avrà le conseguenze più radicali. Non è una scelta che riguarda esclusivamente loro due, quanto tutta l’umanità“. Una volta al cuore delle reali dinamiche di The Box, Kelly ci concede qualcosa in più sulla loro sostanza narrativa: “Loro scelgono questa coppia di famiglia modello – due giovani sposati con un solo figlio – e gli affidano questa incredibile scatola, si nascondono nel buio e studiano ogni loro mossa e decisione. Ad ogni pressione del bottone, le conseguenze delle scelte della coppia hanno una portata in crescita esponenziale nei confronti del mondo che li circonda e dei suoi abitanti. Chi sono loro? Sono gli uomini di Arlington, sorta di impiegati il cui compito è monitorare continuamente i progressi dei test che il loro principale ha deciso di effettuare per tutta la provincia americana, ingranaggi di un’infrastruttura sempre più ampia ed articolata che potrebbe tranquillamente estendersi per tutto il territorio americano, e dalle oscure quanto inquietanti finalità“.

Una volta esaurito il breve excursus sul meccanismo principale della vicenda, il regista ne inizia un altro, dove ripercorre grossomodo tutte le tappe che lo hanno portato alla regia della pellicola:” Dal 2003 sono in possesso di un’opzione per lo sfruttamento cinematografico di questo racconto acquistata direttamente da Richard Matheson, di cui sono un grandissimo fan. Anni fa parlai con Eli Roth sull’eventualità che lo dirigesse, e buttai giù un paio di sceneggiature piuttosto differenti. Una era particolarmente comica ed eccessiva: ambientata ai giorni nostri, la famigerata scatola era rappresentata da quest’enorme scatola metallica che si trasformava in un robot, a metà tra una puntata di Futurama ed una di Tales From The Crypt. Poi mi resi conto che era assolutamente necessario ambientare la pellicola negli anni ’70, l’epoca in cui è stato originariamente ambientato il racconto, principalmente perchè al giorno d’oggi, tra Google Maps e social networks, l’idea che qualcuno possa essere assolutamente irrintracciabile e non identificabile è ben poco credibile. Probabilmente se Arlington offrisse la sua scatola di legno ad un abitante a caso di questo pianeta, quello schiaccerebbe il bottone ancora prima che Arlington stesso riesca ad uscire di casa. Nel 1976 c’era una base culturale decisamente più ingenua e naif, ed una serie di interrogativi morali decisamente più profondi e complessi“.

About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.

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