Commedia e parodia Drag Me to Hell

Drag Me to Hell

E’ dai tempi di The Gift (2000) che Sam Raimi non metteva praticamente mano a qualcosa che puzzasse vagamente di horror.

Nell’anno di Nostro Signore 2009, l’antichissima e rispettabile pratica della maledizione rituale non solo è viva e vegeta, ma ha trovato tra le pieghe più contraddittorie e significative della nostra società terreno fertile come non mai. Basta con questioni d’altri tempi, amori non corrisposti e vendette d’onore: perchè perder tempo con contese di epoche passate, quando si hanno a disposizione banche, prestiti capestro, mutui implacabili e sfrenato carrierismo?
La losangelina Christine (Alison Lohman) sa che per stupire positivamente il proprio diretto superiore e ottenere così l’ambito posto di vice direttore della banca in cui lavora deve dare un’ indiscutibile dimostrazione di efficenza, dedizione alla causa e sufficiente spietatezza affaristica. L’occasione ideale le si offre quando si ritrova a rifiutare a una vecchia, disperata zingara il rinnovo di un prestito che nei fatti le costerebbe la casa: umiliata non senza imbarazzi l’orrenda vecchina, Christine mette una così una seria ipoteca sul proprio futuro professionale. Quella che non sa, è che parallelamente ha seriamente ipotecato anche le proprie prospettive esistenziali: la vecchia scaglierà infatti su Christine le ire del temibile demone Lamia, un’entità che, una volta liberata, non lascia che tre giorni di vita agli sventurati oggetto delle sue attenzioni, per poi trascinarli con sè tra le fiamme dell’inferno.
Cinque anni passati tra i lustrini di Hollywood a far saltare nerd in costume da supereroe con una media di un milione di dollari a minuto di proiezione non è roba da poco, e ancora più difficile è il dimostrare effettivamente di non averli sentiti. E’ dai tempi di The Gift (2000) che Sam Raimi non metteva praticamente mano a qualcosa che puzzasse vagamente di horror, accontentandosi di finanziare – con risultati decisamente altalenanti e una naturale tendenza al ribasso – progetti altrui tramite la sua Ghost House Pictures. In molti, molitissimi aspettavano al varco questo ritorno, soprattutto chi, in cerca di definitive conferme delle proprie teorie, ha sempre sostenuto la non vertibilità di certi percorsi artistici che, partiti dai maleodoranti bassifondi del do it yourself, finivano per piantar tende e sotterrare passati artistici in terra di faraonici tie-in e di registi-ingranaggio. Bella dimostrazione questo Drag Me To Hell, perchè la sostanza è che il vecchio Sam non ha fatto altro che dare un’occhiata al proprio passato cinematografico più celebrato e da lì riprendere il filo di un discorso orrorifico unico e inconfondibile, mai interrotto ma lasciato in evidente sospensione animata, dando una bella spolverata a certi ingranaggi narrativi vecchi come l’amato genere e reinventati dal nostro ai tempi del folgorante esordio de La Casa: il suo timbro horror narrativamente agile, smilzo e sottrattivo, le anfetaminiche e coreografiche accelerazioni degli scontri fisici, l’inconfondibile tendenza comica e slap-stick per l’effettistica grottesca e lo-fi, quel delizioso gusto falsamente camp che tradisce l’assoluta confidenza dell’autore con la materia che si ritrova a trattare e le sue immortali e se vogliamo banali dinamiche. Non c’è – quasi – niente in Drag Me To Hell che non rimandi a quel giovane Sam Raimi degli esordi, in grado di trasformare una manciata di suggestioni horror irrimediabilmente naif in un’ora e mezza di Storia del genere, e la principale differenza sta soprattutto nella contestualizzazione della vicenda: per quanto scritto dal regista e dal fratello Ivan parecchi anni addietro, niente potrebbe essere più fresco e attuale di una storia horror che prende come pretesto un’irriducibile maledizione dei nostri tempi – l’insolvibilità economica – e la trasforma in ideale trampolino di lancio per un salto mortale cronologico a ritroso lungo ventotto anni, a recuperare fili del discorso perduti ma quantomai necessari.
La moderna, wannabe e a suo modo spietata fattucchiera sociale Christine e l’antica, folkloristica e anacronistica zingara Sylvia danno vita a un vitale, adrenalinico e reiterato gioco di specchi, dove i ruoli si scambiano e a turno entrambe si ritrovano a dover mendicare pietà e indulgenza alla controparte. Almeno fino alle battute conclusive, dove se vogliamo credere – e lo vogliamo – alla radicata matrice moralista di un certo tipo di horror classico, il tutto non può non tradire un qualche intento precettistico. Drag Me to Hell è sostanzialmente questo, la prima puntata di quella che forse non sarà una seconda e fulgida stagione horror per il regista, ma è sicuramente la rivendicazione fin troppo tarda da parte di una grande personalità registica che, se non più vergine, quantomeno è stata capace di preservarsi integra dai violenti fortunali del west coast business più vorace. Allora vada per la copia carbone appena rimoderanata di quanto già visto ed apprezzato in tempi non sospetti, tanto più poveri quanto spontanei, per i quasi 30 milioni di dollari di budget di differenza – gran parte investiti nella preparazione della scena della veglia funebre in onore della vecchia megera zingara – a evidenziarne spietatemente le differenze logistiche, ma non neghiamoci il legittimo conforto dato dall’evidenza che quei corpi fatti ingoiare dal demone Lamia senza pietà fin dentro le viscere terra non entrino in immediata risonanza sostanziale con l’analoga immagine che campeggia sulla copertina di migliaia di copie dello storico Evil Dead, perchè di quello si tratta. Certo, tutto già visto, assaggiato e digerito, ma a ragion veduta di tutto ciò che è stato considerato rivoluzionario in ambito horror negli ultimi dieci anni, mantenersi una volta tanto rigidamente conservatori non sembra poi essere un abito così scomodo da indossare.
Drag Me to Hell (USA, 2009)
Regia: Sam Raimi
Sceneggiatura: Sam Raimi, Ivan Raimi
Interpreti: Alison Lohman, Justin Long, Lorna Raver, Dileep Rao
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 99 min.

About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.

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