Intervista libro Intervista Con Simonetta Santamaria

Intervista Con Simonetta Santamaria

In esclusiva per i lettori di Horror.it, una lunga chiacchierata con Simonetta Santamaria…

Autrice dell’inquietante raccolta “al femminile” Donne in Noir (Edizioni Il Foglio, 2005) e dell’e-Book Black Millennium, Simonetta vive e scrive a Napoli, dove gestisce l’agenzia di stampa Essedue Comunicazione. Ha vinto l’XI edizione del Premio Lovecraft col racconto Quel giorno sul Vesuvio (CentoAutori 2007), e partecipato con Un cuore nuovo al progetto “Il Giralibro 2006”, insieme ad altri giornalisti e scrittori napoletani. Suoi anche Irrefrenabile passione (San Gennoir – Kairòs, 2006), Confessione di un apprendista di bottega (Partenope Pandemonium – Larcher, 2007) e Necromundus, da un’idea di Giuseppe Cozzolino, pubblicato su M Rivista del Mistero (Alacran, 2007). Il quotidiano La Repubblica l’ha definita “una delle signore della suspense made in Naples” mentre per il Corriere del Mezzogiorno, il suo nuovo romanzo Dove il silenzio muore (CentoAutori) la consacra come “lo Stephen King napoletano”. Dice di sé: “Non mi prendo mai troppo sul serio, altrimenti sarei una serial killer”.

Ciao Simonetta, benvenuta su Horror.it. Negli ultimi anni hai pubblicato un numero notevole di racconti su riviste e antologie, cartacee e telematiche. Nel 2005 è arrivata la prima vera consacrazione con la vittoria del Premio Lovecraft (XI edizione) e l’uscita dell’antologia personale Donne in Noir. Da quest’anno è in libreria anche Dove il silenzio muore, il tuo primo romanzo. A quanto pare, l’horror ti scorre nelle vene. Ricordi quando e in quali circostanze è nata la passione per questo genere?

Innanzitutto grazie a voi per avermi accolta. La passione per l’horror credo di avercela sempre avuta: ho iniziato a leggere molto presto, e con Salgari e Verne la mia immaginazione ha trascorso i momenti più entusiasmanti. Poi ho incontrato Edgar Allan Poe e da allora tutto è stato chiaro. Pensa che da bambina, mentre le altre disegnavano fatine e ballerine, io disegnavo scheletri e fantasmi, vampiri e bare. E non ero affatto quella che gli psicologi definirebbero “un soggetto disturbato” ma una bambina serena, solo un po’ sopra le righe. La curiosità verso l’ignoto, il mistero della morte, mi spingevano a farmi domande e a cercare risposte nella lettura. In tv poi, ricordo il bellissimo Dr Jekill di Giorgio Albertazzi: era il 1969, avevo 7 anni.

E la passione per la scrittura, quando è nata?

Anche quella abbastanza presto. Il primo romanzo l’ho scritto a 14 anni, a mano, sotto l’ombrellone, in piena estate. Poi è arrivato Stephen King, il Maestro: dai suoi romanzi ho ricevuto la spinta verso la scrittura horror, in lui ho trovato la dimensione che mi calzava a pennello. Un horror probabile, non più solo vampiri, lupi mannari, zombie ma paure quotidiane. Il nostro vicino di casa, un cane, un camion, una stiratrice industriale o un’organizzazione esperta in diete: sono queste le cose che ci terrorizzano di più, elementi a noi talmente familiari da farci rabbrividire quando ne incontriamo uno. E che, dopo che hai chiuso il libro, ti fanno scrutare nel buio. Ho l’intera collezione dei suoi romanzi, più una serie di saggi. Sono andata fino nel Maine, sotto casa sua, e alla ricerca dei luoghi descritti nei suoi romanzi.

Noto con piacere che il tuo romanzo Dove il silenzio muore, pubblicato da Cento Autori, concorre al premio Giorgio Scerbanenco – La Stampa 2008, che verrà assegnato il 5 dicembre a Courmayeur. (Ricordiamo che la rosa dei cinque finalisti sarà determinata dai voti degli utenti che, collegandosi al sito internet del premio, potranno esprimere la loro preferenza fino al 25 novembre). Puoi raccontarci la trama del tuo romanzo?

Dove il silenzio muore è ambientato a Napoli in un borgo immaginario ai piedi della collina di Posillipo. Tutto parte da un antico manufatto egizio, l’Ouroboros, il serpente che si morde la coda simbolo di rigenerazione ed eternità, governato da Apopis, dio del Buio, che rivendica il suo potere su Cristo portando scompiglio e morte ai giorni nostri. C’e una villa, “La Silenziosa”, che torna a vivere dopo anni di abbandono e che rivelerà un mistero sepolto nelle sue viscere; c’è Sara che ha il dono, o la maledizione, di vedere, una sorta di capacità medianica fatta di strane visioni che lei stessa dovrà poi decifrare. Ci sono un prete, un archeologo, un ciabattino, un vecchio medico condotto, un pescatore: personaggi dissimili che però andranno a dar vita a un’unica storia. Nella narrazione passato e presente s’intrecciano fino a formare una sola, incalzante e soffocante traccia che porterà all’epilogo. Si parte da un capitolo Zero e si finisce con un capitolo Zero: e tutto riparte dal principio, proprio come per l’Ouroboros.

Scrivi che il tuo horror “non è splatter, ma inserito nella vita quotidiana; non suscita quasi mai ribrezzo ma una sorda inquietudine, quella che ti fa scrutare nel buio, dopo che hai chiuso il libro…”. Le tue parole mi fanno tornare in mente Charles L. Grant, che definiva il suo un “horror tranquillo” e si riconosceva nel motto: tanto più sottile, tanto più spaventoso. Credi che oggi le trovate narrative di un autore possano scuotere e destabilizzare il lettore/spettatore più di motoseghe insanguinate e corpi seviziati?

Dipende dai gusti. A me lo splatter non mette né paura né inquietudine e siccome è questo che cerco in un libro o in un film, provo a ricrearlo nei miei racconti. Sì, sono in linea con Grant: è più difficile spaventare creando un’atmosfera piuttosto che fare a pezzi semplicisticamente qualcuno. L’uso del sangue, se non supportato da una valida storia, genera ribrezzo: la Paura è un’altra cosa.

Dici di condannare l’icona esterofila dell’horror. Perchè, secondo te, tanti autori italiani optano per ambientazioni straniere?

E mi piacerebbe saperlo! Forse perché uno zombie che si chiama Marcello non fa effetto come uno che si chiama Jack, o Peter… Ci siamo chiesti perché scrittori noti come lo stesso King non usino ambientare le loro storie qui da noi? Certo, su una produzione in larga scala ci sta anche, ma noi non abbiamo ancora in Italia un equivalente. E poi il nostro paese è ricco di luoghi, storie, leggende: perché non sfruttarle? Se vogliamo esportare l’horror italiano dobbiamo partire da casa nostra.

Nel panorama dell’horror italiano, quali sono gli autori che preferisci?

Mi piacciono Nerozzi, Arona, Evangelisti, Baldini, la Teodorani (anche se è splatter), la Palazzolo con il suo horror d’impronta classica. Ma ce ne sono tanti di più. Dovrei farmi una ripassata alla libreria.

In occasione dell’uscita di Dove il silenzio muore, il Corriere del Mezzogiorno ti ha definita lo Stephen King napoletano. Ritieni che, fatte le dovute proporzioni, l’appellativo sia calzante?

Fatte le dovute proporzioni, appunto. Be’, mi piace pensare che lo sia, per me non potrebbe essere che un grande onore. Tutto quello che di buono c’è nei miei scritti, lo devo a lui, a quello che mi ha insegnato. Mi piacerebbe, un giorno, poterglielo dire di persona.

Progetti futuri? Puoi dirci qualcosa?

Sto lavorando al secondo romanzo, sempre ambientato a Napoli, ma il protagonista stavolta è un uomo. E, come in Dove il silenzio muore, troveremo ancora un gatto e la musica metal (in prima pagina c’è il verso di una canzone di un validissimo gruppo italiano emergente, i Five Sided Room): come l’horror, anche il metal ancora troppo etichettato e troppo poco conosciuto. Io sono una sostenitrice delle cause difficili: si vede che ce l’ho nel Dna, mi piacciono le sfide. Te l’ho detto che sono una un po’ sopra le righe, no?

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